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Entro metà febbraio il Governo dovrà approvare il “Piano Strategico nazionale della portualità e della logistica”, come previsto dal decreto “Sblocca Italia”. Per arrivare a definire i contenuti del Piano e la sua attuazione è stato costituita una Commissione di 15 persone alla quale partecipa anche Confetra. E' un passaggio importante perché l'art 29 della legge “Sblocca Italia” dice esplicitamente che uno degli obiettivi del Piano è “agevolare la crescita dei traffici e promuovere l'intermodalità del traffico merci”. Certo stupisce che il Governo non abbia sentito la necessità di chiamare nessuno che si occupi quotidianamente di cargo ferroviario. Quando si parla di porti e della necessità di aumentare la loro capacità, è del tutto evidente che la modalità ferroviaria è fondamentale. I tanto celebrati porti del nord Europa, basano il loro successo in gran parte su un sistema ferroviario dedicato, dentro e fuori le aree portuali. Ancora una volta invece sembra prevalere un metodo di programmazione che opera per compartimenti separati: ora i porti, poi magari le ferrovie e dopo ancora gli aeroporti o gli interporti, quando bisognerebbe una volta per tutte capire che il sistema logistico vive di una interconnessione funzionale di tutte queste modalità di trasporto che deve essere pensata come un unicum inscindibile. E' comunque un passo avanti la maggiore attenzione che il Governo sembra dedicare al mondo del trasporto e alla ferrovia in particolare. Guido Nicolini, vicepresidente di Confetra e presidente di Assoferf, l'associazione che rappresenta i proprietari e i detentori dei carri ferroviari privati, ma anche Officine di Manutenzione, ECM, oltre agli Operatori Convenzionali ed Intermodali ha una visione molto dettagliata delle problematiche che fanno del rapporto ferrovia/porti uno dei nodi da sciogliere per rilanciare sistema logistico italiano. «Ferrovie e porti sono assolutamente inscindibili- ragiona Nicolini- a noi sembra di vedere un inizio di interesse maggiore da parte del Governo per la ferrovia, rispetto a un anno o due fa. Cosa porterà questa attenzione onestamente non lo sappiamo. C’è la proposta di legge a prima firma Oliaro che a gennaio dovrebbe andare in discussione alla Camera. Vediamo che tipo di positività potrà dare, avrà dei difetti, ma se si inizia a parlare di trasporto ferroviario si può cominciare a incidere prima su RFI alla quale il governo dovrebbe dare delle precise indicazioni su quali investimenti fare e dove, poi sul tema fondamentale che riguarda i costi esterni di cui nessun tiene conto ma che in realtà tutti paghiamo». Nicolini vuole porre l'attenzione su alcuni aspetto di cui si discute poco, ma che sono altrettanto fondamentali, per lo sviluppo del trasporto cargo nei porti, delle carenze infrastrutturali indicate come principale causa della scarsa efficienza attuale: «Ci sono sicuramente delle problematiche di carattere strutturale, legate al fatto che i treni, soprattutto in uscita più che in entrata hanno limitazioni legate al peso e alla lunghezza che penalizzano parecchio la possibilità di essere competitivi rispetto ad altre modalità. E’ innegabile, se pensiamo di recuperare un determinato traffico, che questo possa essere affidato tutto ai camion. Tornando ai vincoli strutturali, a Genova ad esempio si possono fare dei treni in uscita al massimo di 950 tonnellate se non si adotta la doppia trazione (che significa costi maggiori) e poi ci sono i costi di manovra. A Genova sono leggermente inferiori a quelli di Trieste, ma in una relazione come la Genova - Milano che è di breve chilometraggio, il costo di manovra incide per il 40% circa sul costo del treno. Come Assoferr il 19 di novembre abbiamo scritto alla Autorità dei Trasporti perché la bozza del progetto di gara del prossimo anno per le manovre, prevede ancora la cosiddetta clausola sociale, e cioè il mantenimento di tutte le persone impiegate, addirittura con le indicazioni del tipo di contratto. E’ chiaro che di fronte a un costo che può essere diminuito almeno del 25-30% rispetto ad oggi, il treno potrebbe diventare competitivo o almeno più competitivo rispetto ad altre modalità» Se le infrastrutture, come lunghezza dei binari, elettrificazione dei piazzali e costo delle manovre sono un problema, anche l'organizzazione del lavoro incide pesantemente. «Un'altra situazione che secondo me ha valenza negativa- continua Nicolini- è anche che per fare un trasporto camionistico, basta chiamare l’autotrasportatore la mattina e il pomeriggio posso già caricare, mentre nell’attuale gestione dei porti per fare un treno bisogna informare il terminal portuale, qualunque esso sia, entro le ore 12 del giorno precedente la partenza del treno. Questo di fatto soprattutto per quello che riguarda l’importazione limita molto la possibilità di essere veloci nel gestire un servizio alternativo al camion». Se non bastassero questi vincoli, la burocrazia aggiunge ulteriori lacciuoli e Nicolini su questo è molto preciso: «Non voglio fare polemica ma c’è tutta la parte legata alla burocrazia che pesa non poco. Per me, fare il documento di transito “T1” è burocrazia all’importazione. Ora l’Agenzia delle Dogane sta studiano un cosiddetto corridoio veloce. Valutano la possibilità che, con la garanzia data dalla bill of lading ( polizza di carico ndr) dell’armatore, e una fidejussione data dal terminalista di arrivo alla Agenzia stessa, ad esempio una polizza di carico Singapore-Milano possa evitare l’emissione del cosiddetto documento di transito “T1”. Questo farebbe sì che immediatamente prima dello sbarco si potrebbero dare indicazioni al terminalista che quei contenitori specifici potrebbero proseguire subito con la ferrovia. Vedremo se si arriverà davvero come speriamo a queste semplificazioni». Però la scelta di far viaggiare le merci containerizzate via treno invece che su camion dipende anche da valutazioni prettamente commerciali. Insomma non basta avere impianti efficienti, burocrazia snella, debbono esserci anche delle convenienze economiche. «Il traffico che sceglie il treno, detto in tutta onestà, è quello che esce dai porti subito perché non vuole o non può pagare soste – spiega il vicepresidente di Confetra- se non ci fossero i terminalisti che fanno pagare le soste dopo “x” giorni chi 4 chi 5 o 6, e per l’export, non accettano come fanno oggi la “seconda nave” il traffico dai porti scenderebbe ulteriormente. Ci sono due fattori: in import, l'addebito di “detention” da parte dei terminalisti portuali dopo i fatidici 3-5 giorni che mettono in condizione il cliente di dover scegliere la ferrovia. Un esempio é Ikea, che fa quasi tutto per ferrovia su Rivalta perché evita di pagare molto denaro di “detention” nel terminal; in esportazione è l’effetto contrario, a Voltri ad esempio la San Pellegrino che invia molti contenitori per gli Stati Uniti, carica container anche per la seconda o la terza nave non per la nave prevista come prima toccata nel porto e sono i terminal interni che fanno da “polmone”. Di conseguenza questo non può che essere traffico che sceglie la ferrovia. Però se non ci fossero questi due fattori favorevoli all’intermodale e se ci fossero terminal che accettassero contenitori anche per navi successive il traffico ferroviario scenderebbe ancora. Lo dico perché molti pensano che il maggiore o minore uso del treno sia legato solo a ragioni infrastrutturali, invece le variabili sono molte e quelle commerciali hanno una grande influenza». Una maggiore efficienza complessiva potrebbe arrivare anche dalla specializzazione dei porti. «Effettivamente questa è una strada che permetterebbe di assicurare un futuro a molti porti- ragiona Nicolini- noi parliamo di container ma il tonnellaggio che entra e esce con i container è minore di quello che si muove nei porti a livello di navi bulk. Un esempio: il porto di Ravenna, credo non possa pensare di diventare un porto container, deve specializzarsi per attività diverse ma altrettanto strategiche come materie prime per l’industria delle ceramiche, ferro, petroli. Ci vorrebbe una regia nazionale. Purtroppo sembra che anche con questo Governo gli interessi locali e le tante lobby abbiano impedito di decidere. Così l'esecutivo ha detto “fateci voi dei progetti e su questi decideremo”, penso che questa sia la strada più sbagliata. E' necessaria una una maggiore attenzione per individuare quei porti dove effettivamente ci sono costi più bassi per potre fare gli investimenti necessari ad aumentare le capacità dei treni, come portata e come numero. E individuare alcuni porti che si specializzino per le vare tipologie di merce. Ma non dimentichiamo, come ho detto prima, la necessità di agevolare il percorso di carattere doganale. Confetra sta lavorando tantissimo su questo. Ed è necessaria anche una maggiore disponibilità dei terminalisti portuali». A queste indicazioni specificamente indirizzate al mondo portuale Nicolini aggiunge alcune considerazioni generali sulle azioni da intraprendere per sostenere il trasporto ferroviario. «E' necessario sostenere il servizio ferroviario, non le imprese come è stato fatto con la legge 166 della quale ha beneficiato soprattutto Trenitalia e molto poco il mercato. I Governi hanno sostenuto in questi anni il trasporto stradale e quello marittimo. Basterebbe che fossero attivate iniziative parallele a queste e con molti meno soldi rispetto a quelli spesi lì si potrebbe aumentare il trasporto su ferrovia e limitare il problema dei costi esterni. Costi sui quali l'UE ha già aperto un dossier e per i quali rischiamo dal 2016 di essere sanzionati con pesanti multe. Poi ci sono situazioni legate alle scelte di RFI che ha chiuso parecchi raccordi con traffici anche di 2000 carri all’anno Noi siamo intervenuti e in alcuni casi siamo riusciti a scongiurare le chiusure. Occorre creare un meccanismo di consultazione con gli operatori perché a volte gli scali vengono chiusi da soggetti che non hanno la più pallida idea della situazione reale sul terreno. Serve maggiore concertazione con i soggetti interessati, imprese ferroviarie, operatori e industria. Ad esempio Federchimica oggi si trova in difficoltà. Vengono effettuati dei treni completi di soli due carri, perchè i prodotti trasportati non possono essere viaggiare con i camion su strada. Lascio immaginare a che costi. Un altro caso e quello dei carri da riparare che, con la cessazione del traffico diffuso, diventa difficile inviare alle officine.. Siamo arrivati al paradosso che in alcuni casi è più conveniente caricarli su un carrello stradale e inviarli così in officina anzichè sui binari».
 Franco Tanel

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