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Il decreto legislativo 169/2016, entrato in vigore il 15 settembre 2016, modifica in modo sostanziale la legge 84/94 nella parte relativa alla disciplina delle autorità portuali. Trattandosi di una riforma di una precedente riforma della portualità, dovremmo essere in presenza di una ulteriore riforma della portualità. Non è proprio così perché la riforma va ben oltre i confini portuali. In realtà, si apre un nuovo scenario nel quale il cluster marittimo è chiamato a partecipare alla realizzazione di un sistema mare idoneo a promuovere crescita, sviluppo e competitività, con strumenti moderni e multidisciplinari. Si può quindi affermare che si delinea una Riforma del Sistema Mare. La legge 84/94 aveva avuto il merito di sopprimere gli enti portuali affidando alle Autorità Portuali i compiti di amministrazione e controllo delle attività portuali e non anche la gestione imprenditoriale di tali attività. Per il resto, la legge non prendeva posizione rispetto alla evoluzione dei mercati e dei traffici marittimi internazionali e quindi alle nuove regole della competitività.

In altre parole, mancando una strategia integrata, la portualità italiana era condannata, senza appello, a perdere competitività con la sua dimensione provinciale e localistica, condizionataza da interessi conflittuali. La Riforma del Sistema Mare parte con la legge “Sblocca Italia” dell’11 novembre 2014. L’art. 29 annuncia, da un lato, l’adozione di un piano strategico nazionale della portualità e della logistica e, dall’altro, un progetto di razionalizzazione, riassetto ed accorpamento delle autorità portuali. Parte subito la proposta di un Piano Strategico Nazionale e, una volta approvato in via preliminare il 3 luglio 2015 dal Consiglio dei Ministri, il Piano mette subito in chiaro le principali criticità della portualità e della logistica:
- carenza delle infrastrutture ed inefficienza dei servizi portuali.
- programmazione locale avulsa dalle reali esigenze del mercato ed alimentata da investimenti privi di effettivi ritorni.
- assenza di sistemi portuali e di integrazione con retroporti ed interporti.
- mancata percezione delle nuove logiche industriali.
- occupazione degli organismi decisionali delle Autorità Portuali da parte di decisori pubblici e privati con conseguente conflittualità tra interessi privati ed obiettivi pubblici.

 Per il superamento di queste criticità, il Piano propone la realizzazione di un Sistema Mare che tenga conto non più della crescita quantitativa dei volumi di traffico nel singolo porto, bensì della capacità di Sistemi Portuali multi-scalo di contribuire, con la ottimizzazioine delle infrastrutture e delle connessioni lato terra e lato mare, allo sviluppo dell’intero sistema produttivo nazionale e, in particolare, del Mezzogiorno.

 Il Piano si pone due obiettivi. Il primo è definito Integrazione del Sistema Logistico: Il Sistema Mare deve accrescere e migliorare la qualità e la competitività dei servizi logistici forniti dentro e fuori il porto attraverso un approccio di sinergia e coordinamento, che garantisca l’integrazione funzionale e gestionale dei sistemi portuali con gli interporti e con le piattaforme logistiche,. Il secondo obiettivo riguarda il Miglioramento delle Prestazioni Infrastrutturali:

 E’ necessario puntare ad un miglioramento complessivo delle prestazioni dei porti italiani per le diverse tipologie di traffico anche attraverso la rimozione dei limiti infrastrutturali, evitando sprechi di risorse pubbliche e massimizzando il coinvolgimento di capitali privati. Abbiamo un primo punto fermo: il Sistema Mare ingloba il sistema portuale.

I porti diventano un sub-sistema della catena logistica e vanno organizzati in sistema in modo da costituire una rete nazionale capace di specializzare e differenziare i singoli scali. In parallelo alla stesura definitiva del Piano ed in attuazione degli obiettivi posti dal Piano, si va anche definendo la riforma della legge 84/94. La Commissione Lavori Pubblici, in sede di approvazione dello schema di decreto legislativo, rileva:
Una riforma che intenda rilanciare in modo adeguato il settore della portualità nazionale deve porsi necessariamente come obiettivo la creazione di un “sistema di sistemi portuali” al fine di contemperare, da un lato, l’obiettivo di garantire una comune cornice normativa e regolatoria e un unico indirizzo strategico in materia e, dall’altro, l’esigenza di non soffocare ma di esaltare le vocazioni dei singoli scali e dei territori nei quali essi si inseriscono, al fine di rendere il sistema realmente competitivo rispetto alla concorrenza internazionale, anche attraverso un progressico conferimento alle Autorità di sistema portuale di elementi di autonomia fiscale e finanziaria. E’ pertanto essenziale agevolare finalmente l’integrazione tra i sistemi portuali e la complessiva catena logistica e trasportistica nazionale, consolidando e potenziando i collegamenti intermodali tra i porti, i retroporti e gli interporti, in una logica tesa a valorizzare le potenzialità e le sinergie dei territori regionali e locali. 
Il Piano è approvato in via definitiva dal Consiglio dei Ministri il 3 luglio 2016. Il decreto legislativo è approvato il 31 agosto 2016. Abbiamo quindi un secondo punto fermo: la vera riforma è nel Piano Strategico Nazionale. Il decreto legislativo attua normativamente quanto delineato nel Piano con riferimento, in particolare, alla riduzione delle autorità portuali ed alla loro governance.
Il Piano propone la integrazione dei sistemi portuali e l’Autorità di sistema portuale diventa il promotore dell’indirizzo strategico e dello sviluppo della catena logistica e trasportistica nazionale. Non vi è dubbio che la Riforma del Sistema Mare si regge su un rafforzamento dei poteri delle Autorità portuali. Ed il privato? Ha perso il ruolo decisionale che aveva nei Comitati Portuali, ma a ben vedere quel ruolo era più che altro portatore di interessi locali e di categoria, nonché di sterile conflittualità con il pubblico. Il nuovo ruolo non è affatto marginale.

La Riforma del Sistema Mare propone un disegno logistico integrato nel quale porti, interporti e piattaforme logistiche devono integrarsi in un quadro unitario. E soltanto il privato può ragionare ed operare in una logica di sistema logistico integrato. Ne discende che il Sistema Mare può essere efficacemente realizzato a condizione che il privato abbia una partecipazione attiva nella governance e nei processi decisionali. In altre parole, il ruolo del privato diventa determinante, non tanto per il contributo che gli si chiede in sede di Organismo di Partenariato della Risorsa Mare, quanto per il fatto di essere l’attore principale nella pianificazione ed esecuzione dell’attività terminalistica e logistica.

Le opere di infrastrutturazione portuale sono di competenza dello Stato ma queste sono funzionali al traffico marittimo, al tessuto logistico di riferimento e alle potenzialità di mercato. In altre parole, è il privato che ha nelle sue mani le chiavi della logistica e quindi del motore del Sistema Mare. E, facendo riferimento al Sistema Portuale del Mar Tirreno Centrale e quindi al sistema dei porti di Napoli e Salerno, è inevitabile anticipare che il privato potrà a breve avvalersi di uno strumento ideale per lo sviluppo della logistica: la Zona Economica Speciale.

Il 13 dicembre la Giunta Regionale della Campania ha deliberato una proposta di legge per la istituzione della Zona Economica Speciale dei porti di Napoli e Salerno e delle relative aree retroportuali nonché dell’area di Bagnoli. Ma questa è un’altra storia che merita il dovuto approfondimento in una prossima occasione.

 Avv. Bruno Castaldo

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